Perché continuare a vivere a Chernobyl come fanno alcune persone molto anziane che hanno rifiutato di andarsene ai tempi dell’evacuazione o che vi sono ritornate illegalmente subito dopo?

Una giornalista americana, incaricata di fare un servizio sulle condizioni del reattore n. 4, mentre è preoccupata di finire al più presto il suo lavoro per l’intensità delle radiazioni rilevate dal suo contatore Geiger che sembra impazzito, vede  un filo di fumo uscire da una casetta in lontananza. Decide di andare a vedere chi la abita,  lì in una zona altamente contaminata, e perché, per incoscienza o per scelta. 

Parla con la vecchietta e poi con altri “samoseli” come vengono chiamati quelli come lei, che ancora vivono nella zona di esclusione. Arriva così ad una conclusione che, sullo sfondo della storia e della mentalità del popolo ucraino, è la più umanamente convincente: lì è la loro unica casa possibile, la loro unica terra possibile.

Persone, donne soprattutto, che hanno sopportato le vicende terribili della storia ucraina del Novecento – l’holodomor, la carestia artificiale che costò la vita a milioni di contadini come loro sotto Stalin , e poi  le repressioni del “grande terrore”, e poi  la feroce occupazione nazista, e poi il sistema sovietico – non fuggono davanti al nemico invisibile. E’ una loro scelta. Morire prima non conta. Quella è la loro casa, la loro terra, la loro piccola patria. 

Da guardare  www.ted.com/talks/holly_morris_why_stay_in_chernobyl_because_it_s_home?language=it